Enzo Fabiani

Enzo Fabiani (Il Poliedro, Roma, ott.-nov. 1984)

E’ evidente che i dipinti di Giuseppe Fioroni denunciano, o meglio dichiarano subito un preciso amore per la materia: sicché quasi potrebbero far venire in mente, ad esempio, quella sorta di immedesimazione che un musicista può avere per la “pasta” sonora, per la vibrazione dello strumento, o lo scultore per la creta, il poeta per la “corposità” della parola, e così via. Se poi si volessero vedere le caratteristiche di questo preciso amore, o meglio partecipazione, ad esempio da un punto di vista cronologico, cioè di riferimento temporale, allora è facile, mi sembra, ricordare l’affresco medioevale umbro per un modo tra sensibile e astratto, e quindi mistico, di sentire e di esprimere, di partecipare e di dire.

 

Ed è anche chiaro che queste sono indicazioni, sono richiami per avviarci verso quei componimenti, o piccoli poemi, che Fioroni via ci offre, sempre più intensi, sempre più affascinanti: i quali si svolgono addensando motivi ed elementi (cioè figure e forme) in uno spazio, verrebbe da dire in una aiuola, ben preciso che ne riceve e conserva tutta la forma e la suggestione. Ed è allora (e penso in particolare alla serie dei guazzi) che, per certe frammentazioni e coloriture particolari, può venire in mente anche la ceramica: certe composizioni di Leoncillo, tanto per intenderci, dal ritmo vivace e insieme severo, con parti preziose ed altre rustiche, o ruvide.

 

Certo, come qualcuno ha accennato, viene anche da ricordare, vedendo le diverse opere di Fioroni, quel mondo cosiddetto paranormale, ed anche la cosiddetta zona onirica: mondo e zona che possono offrire una infinità di motivi e variazioni di cui non sempre è possibile precisare origini e radici, e neanche intendere appieno i significati. Ma è questo un discorso che (con buona pace dei padri del Surrealismo) appare in realtà alquanto deviante, perlomeno, in quanto c’è il rischio, seguendolo e approfondendolo, di fare confusione sulle ragioni e le caratteristiche stesse dell’arte: la quale non è poi quel gran mistero o quel gran guazzabuglio che tanto spesso si vuol far credere: forse allo scopo di mettere il non artista addirittura in uno stato di inferiorità…

 

Ora, come si sa, quello che conta nell’opera d’arte è la ricerca e l’oggettivazione della verità poetica: che può essere profonda come il mare o lieve come una piuma, a seconda delle qualità e della forza dell’artista. Ma l’importante è che egli (ed è quanto si nota in Fioroni) senta il bisogno di comunicare nel modo più consono e giusto quanto gli urge dentro: ovverosia il racconto, la domanda e la risposta, il sorriso o il pianto; oppure (uscendo così dalla regione cosiddetta romantica) gli elementi di un ordine, di una geometria, di una architettura eccetera. Come ben si sa le definizioni, come le dichiarazioni di poetica, sono ormai diventate infinite: il che non vuol dire affatto vere ed essenziali…

 

Il racconto (e si è accennato anzi a piccoli poemi) di Giuseppe Fioroni mi pare somigli a un ripensamento incantato e spesso incantevole difatti e personaggi del presente e del passato, rivissuti, e quindi presentati e rappresentati, con una affettuosità o tenerezza che può portare a una raffigurazione che par sognata. E’ chiaro che da questo “momento”, da questo stato d’animo o di tensione, possono nascere varie esigenze che potremmo dire ritmiche (e quindi coloristiche, e quindi musicali), seguendo e guidando le quali il pittore raggiunge quel “fantasma” che più e meglio ad esse corrisponde. Un altro aspetto da considerare con attenzione è quello derivante dalla presenza delle figure nella “scena” del quadro: esse generalmente non sono dominanti né predominanti, anzi sembrano fondersi in forme spesso evanescenti, o comunque non definite: eppure è evidente che da quelle figure o figurette dipende l’andamento o potremmo anche dire la ragione stessa del quadro. Figure tuttavia che troviamo a volte in primo piano, specialmente in alcuni dipinti ad olio molto belli: ed allora esse hanno qualcosa di ieratico e di solenne, e ci appaiono come prese in una profonda meditazione.

 

Certo il mondo rappresentato da Giuseppe Fioroni non è facile, almeno a una prima lettura: anche perché gli eventuali riferimenti (raffigurazione d’antico sapore, pittura materica, astrazione eccetera con tutti i vari annessi e connessi) ci appaiono come fusi in una ricerca personale d’espressione, e non già di devozionale sudditanza. Fioroni insomma preferisce seguire il proprio ritmo interiore e fantastico, la propria esigenza di rivedere sulla tela il fantasma e la scena intuiti, e già amati in quella zona della mente in cui nasce l’idea pittorica prima di prendere corpo nel quadro. Un mondo a volte anche allucinato, ma mai crudele; a volte anche bizzarro ma mai sradicato dalla sensibilità, che è anzi in esso parte importante. Non vorremmo fare della letteratura: ma ci sembra proprio che questa pittura sia anche il tentativo di una “composizione di luogo” non necessariamente definita, alfine di lasciare a chi la guarda la possibilità di andare oltre, di immaginare altri motivi e altre risonanze: sempre però in nome di una verità poetica che esige di essere detta, e anche partecipata.